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The Place il nuovo film di Paolo Genovese

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‘The Place’ il nuovo film di Paolo Genovese presentato alla 12a Festa del cinema di Roma.

 

‘A Wondefull Place’, mi viene da dire, per la sua originale quanto 'audace' sceneggiatura, benché adattamento cinematografico della serie tv americana del 2010 ‘The Booth At The End’ di Christopher Kubasik, che si avvale della firma, oltre che del regista Paolo Genovese, di quella di Isabella Aguilar, l’ormai nota sceneggiatrice di lungometraggi e fiction per il Cinema e la TV, e scrittrice di successo che ha partecipato al Festival di Venezia, ha vinto il David di Donatello, il Nastro d’Argento e numerosi altri premi nazionali e internazionali.

Quanto basta per non dubitare della sua bravura, infatti Paolo Genovese che immagino abbia curato massimamente la regia, l’ha voluta al suo fianco per dare a questa ‘piece teatrale’ un notevole risvolto psico-filosofico da non sottovalutare, se non altro perché la Auguilar ha una Laurea e un Dottorato di Ricerca in Filosofi, che non guasta se si vuole raggiungere tale profondità introspettiva. Per quanto la sceneggiutura del film non calchi la mano sulle intemperanze squilibrate dei personaggi, ma lo fa con un linguaggio lineare, direi canonico, giocato sul non detto che richiede una certa intuizione e il coinvolgimento dello spettatore.

Per quanto, sappiamo che l’emotività dello spettatore può fare brutti scherzi come, disorientarlo, metterlo in difficoltà, costringerlo a un esame voluto e, soprattutto, non cercato. Così come, in certi casi, metterlo a nudo davanti allo specchio invisibile che è la sua coscienza, che tutto nega, o se preferite, tutto rimette al ‘libero arbitrio’ (non citato nel film ma che può essermi sfuggito), che altro non è che l’illusione di poter scegliere chi siamo e/o chi vogliamo essere per noi o davanti a quegli altri che non vorremmo essere noi.

Scusate il gioco di parole ma in quanto spettatore è esattamente quello che ho provato dopo i fatidici quindici minuti dall’anizio, per cui infastidito sarei volentieri uscito dal cinema. A fermarmi con forza sono stati i cinque minuti successivi e che mi hanno letteralmente inchiodato alla poltrona, appunto per il risvolto psicologico-negazionista che noi tutti attuiamo per metterci al coperto: protagonisti relativamente umani, piuttosto ‘mostri’ dell’inconscio individuale e collettivo, che ci appropriamo delle vite degli altri solo perché non sono come noi vorremmo che fossero, e/o come noi vorremmo che si svolgessero.

È concettualmente accertato che l’uomo post-moderno, sempre in bilico tra l’uomo arcaico e l’uomo futuro, non riesce a trovare un proprio equilibrio che gli dia stabilità all’interno della sfera evolutiva, in ragione della sua incontenibilità precostituita, dovuta per lo più all’andamento accelerato con cui la società si trasforma e, rispetto alla velocità di assorbimento psico-fisica diversa per alcune tipologie di individui e aree di sviluppo intellettuali. O, almeno, per quanto concerne i comportamenti umani elementari dall’inizio dell’evoluzione naturale delle coscienze ad oggi, in cui è d’obbligo riaprire un proficuo discorso su ‘chi veramente (noi) siamo?, e cosa siamo disposti a fare per ottenere ciò che vogliamo?’.

Che è poi la chiave di lettura del film. La risposta è (ovvia) in noi stessi, il film lo dimostra molto bene, così come altrettanto bene scrisse a suo tempo il noto etologo e linguista Irenäus Eibl-Eibesfeldt: “Se smetteremo di erigere barriere alla comunicazio¬ne fra gli esseri umani e di degradare a mostri coloro che sono umani come noi, anche se aderiscono ad altri sistemi di valori . Ma se, al contrario, accentueremo ciò che a loro ci lega, noi - uomini e donne di coscienza – prepareremo per i nostri nipoti un futuro felice. Le potenzialità del bene sono biologicamente presenti in noi quanto quelle (del male) e dell’autodistruzione”, che convenientemente dobbiamo in ogni modo evitare.

Ciò dunque, per rispondere a una ‘decisione sovrana’ che non trova oggi riscontro nell’ampio spettro dell’universalità umana: per cui ‘ogni uomo è libero’ nell’ambito della globalità dello sviluppo storico-sociale in stretta relazione con il pensiero filosofico dominante, concettualmente paritetico di quel processo di conversione che ha trasformato il ‘positivismo relativo’ del secolo scorso, nel ‘pensiero negazionista’ contemporaneo, in cui il ‘tutto’ è verosimilmente sostituito dal ‘nulla’; che è comunque un ‘nulla’ antropico, cioè relativo all’analisi degli assetti organizzativi umani conseguiti, ovvero allo studio (scientifico) di quei processi che nel corso del ‘tempo’ hanno condotto alla formazione degli assetti evolutivi cui si riferiscono.

Assetti questi indubbiamente inerenti al ‘passato’, che potrebbero dirsi superati se messi a confronto con la rivoluzione socio-economico-politica, nonché filosofica ed esistenziale che la pressante globalizzazione di massa impone al ‘presente’. Qullo stesso presente e che sta trascinando tutto e tutti verso una caduta inarrestabile, difficile da predeterminare. Di fatto l’‘evoluzionismo’ filosofico/scientifico (darwiniano e lamarckiano) sembrerebbe ormai superato e aver lasciato il posto a più attuali problematiche dettate da una ‘sovranità giuridica’ irrevocabile, nonché da una maggiore ‘responsabilità politica’ insormontabile che, in ogni caso, vanno rapportate a quel ‘futuro’ che incombe alle porte della coscienza di noi moderni.

Per quanto tutto ciò possa sembrare astruso stiamo comunque parlando di cinema, di un film molto teatrale, come se ne sono visti tanti in passato, eppure sofisticato a tal punto che alla fine della visione mi sono chiesto se a scriverlo fosse stato Pirandello e il regista un certo Hitchcock. In vero c’è nel film: statico ma equilibrato, sadico e malvagio quanto basta, minimalista per eccellenza, un qualcosa che mi ha ricordato (non so bene perché) ‘Il terzo uomo’ di Orson Wells, per il suo penetrare negli interstizi della trama. Una non trama che, al dunque, preferisce di gran lunga lasciare al contesto filmico il ruolo di definire il significato e allo spettatore, di essere parte attiva di qualcosa che lo riguarda da dentro … il che può anche risultare scioccante!

Ne risulta una fiction ben curata, splendida la fotografia, montaggio strepitoso senza sbavature, ottima l’interpretazione di tutti. Che altro dire? Se non vi sentite preparati o se avete degli scheletri negli armadi, non andatelo a vedere. Altrimenti va visto condiviso e discusso con gli altri. Cosa che ho fatto di proposito, all’uscita dalla sala ho chiesto a qualcuno/a se gli era piaciuto. Risposte: Non saprei? Neanche un po’! Dovrò rivederlo per capire meglio. Decisamente sì, perché in qualche parte mi ci sono ritrovato.

 

Da Cineuropa News, che ringrazio per la cortese collaborazione, riporto una recensione di Vittoria Scarp datata 09/11/2017:

 

‘The Place’: cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi? 

Presentato in chiusura alla 12a Festa di Roma, il nuovo film di Paolo Genovese. Un huis clos (‘A porte chiuse’ da Jean Paul Sartre) con dieci personaggi in un bar, davanti alla propria coscienza. Era uno dei film più attesi della stagione. Dopo il successo travolgente di 'Perfetti sconosciuti' , Paolo Genovese poteva osare e così ha fatto, estraendo dal suo cilindro un film ambizioso, metaforico, non per tutti, dove abbandona davvero per la prima volta il registro della commedia. 'The Place' è il titolo del film e il nome del bar con tanto di vistosa insegna luminosa, dove siede un uomo, sempre allo stesso tavolo, e dove entrano ed escono dieci personaggi, tutti i giorni, a tutte le ore, per incontrarlo e parlare con lui.

Un film di dialoghi, una prova di attori, un huis clos concettuale, che pone allo spettatore un’unica sostanziale domanda: cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi? Se 'Perfetti sconosciuti' indagava la parte più oscura delle persone che ci stanno accanto, 'The Place' scandaglia l’anima nera che ognuno porta dentro di sé. L’uomo seduto al bar giorno e notte (incarnato da Valerio Mastandrea) dà indicazioni alle persone che si rivolgono a lui su come esaudire i propri desideri, anzi, stipula con loro un vero e proprio contratto.

Diventare più bella, passare una notte con una pornostar, salvare il proprio figlio, riacquistare la vista, ritrovare Dio, sono alcuni dei desideri che i vari personaggi del film espongono all’uomo del bar. “Si può fare”, risponde lui mentre scrive convulsamente sulla sua grande agenda, fitta di appunti in ogni angolo di ogni pagina. Ma c’è un prezzo da pagare. Un prezzo in alcuni casi molto alto: rubare una grossa somma di denaro, mettere una bomba in un locale, violentare una donna… Se si svolge il compito assegnato, il successo è garantito. Starà a ognuno di loro decidere se accettare o rifiutare l’accordo.

 

Paolo Genovese adatta con questo film una serie tv americana del 2010, The Booth At The End, vi aggiunge dei personaggi, ne toglie altri, intreccia le storie fra di loro, trova un finale per ognuna. Seguiamo il progredire delle missioni assegnate, i personaggi si presentano puntuali davanti all’uomo per aggiornarlo (“raccontami i dettagli”, ripete lui a ciascuno di loro), assistiamo a esitazioni, ripensamenti, ma c’è anche chi mente, chi va oltre i limiti stabiliti, in un vortice di degenerazione umana da dove però si fa sempre in tempo ad uscire, basta volerlo. Il regista varia le inquadrature il più possibile, riprende i suoi attori da ogni angolo, ma non riesce a evitare una certa ripetitività nei gesti, nei movimenti, nelle dinamiche dei personaggi, che nel formato seriale originale (puntate da 12 minuti) è forse più digeribile che non in un lungometraggio di un’ora e tre quarti.

Il regista Paolo Genovese si conferma tuttavia un autore coraggioso, alla ricerca di strade nuove, e come in 'Perfetti sconosciuti' spinge lo spettatore a mettersi in discussione e lo manda a casa con una domanda in testa: cosa farei io al posto loro?

 

Il cast all star è composto da Marco Giallini, Alba Rohrwacher, Rocco Papaleo, Vittoria Puccini, Vinicio Marchioni, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Silvia d’Amico, Giulia Lazzarini, con Sabrina Ferilli nei panni della cameriera del bar che, a porte chiuse e durante le pulizie serali, cerca di capire chi sia veramente quell’uomo misterioso cui tutti chiedono qualcosa (Dio? Il diavolo? La nostra coscienza?).

Prodotto da Medusa Film con Lotus Production, The Place esce oggi, 9 novembre, in 510 sale con Medusa.

Le vendite internazionali sono affidate a True Colours, che durante il recente MIA di Roma lo ha già venduto per la distribuzione in Russia e CIS, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Bosnia, Croazia, Slovenia, Estonia, Lituania e Taiwan.

 

Regia: Paolo genovese

Sceneggiatura: Paolo Genovese, Isabella Aguilar

Cast: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Silvio Muccino, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Sabrina Ferilli, Silvia D'Amico, Rocco Papaleo, Giulia Lazzarini, Vinicio Marchioni, Marianne Mirage.

Fotografia: Fabrizio Lucci montaggio: Consuelo Catucci costumi: Camilla Giuliani

Musica: Maurizio Filardo

Produttore: Marco Belardi

Produttore esecutivo: Noel Bright, Steven A. Cohen

Produzione: Lotus Production, Leone Film Group

Distributori: Medusa Film, Estinfilm OÜ, Aurora Films, Film Europe s.r.o.

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